mercoledì 2 luglio 2008

Racconto del mese.


*u zzi Liddu

Rooooooo! Chiffà mi l'acchiani ssù minchia di cafè, si o no?
U 'zzi Liddu, 92 anni ben portati, un fisico da bestione, 138 chili tra grasso e colesterolo da poter riempire una botte una volta squagliato il tutto.
Usuraru di professione, filibustieri e ‘mbrugliuni, ai tempi che furono prestava soldi in cambio di anelli e collane d'oro. Faceva affari con tutti e con tutto, la maggior parte delle volte guadagnava a dismisura; il suo passatempo favorito era collezionare oro e oggetti preziosi. Le sue pietanze favorite: sanzizza sicca, lardu salatu, tumazzu cu i spiezii e passiluna fritti. Egoista, mischinu e cafone in termini esageratamente estremi.
La sua cara, (si fa per dire) moglie, a 'zza Rosa, fimmina di un alto valore sociale, vittima e donna sacrificata, ccià addivà 4 figli che dopo aver rinnegato a suo padre, per ovvi motivi, ora sono sparsi per il mondo in cerca di lavoro. Massara, silenziosa e priva di manchevolezze, casalinga di primo ordine, faceva in casa la pasta, il pane, sott'aceti, pumadori appinnuti, sanzizza sicca, lardu salatu, aulivi abbunati, passiluna sott’olio, tutto questo ben di Dio, solo per soddisfare i cugliuna di u 'zzi Liddu, un uomo capriccioso e privo di un sentimento compiacente nei riguardi de la sua ormai defunta moglie.

D'estate, assittatu intra na siggiazza di spacu, sù di un cuscino sudicio e mugroso, dove alloggiava il suo enorme culu, voleva essere spostato fuori dalla porta di casa per prendere un pò di sole, è allo stesso tempo cercare la scusa pi sciarriarisi con qualche passante, ca cci dava dda tanticchia di cunpidenza, perché ormai nessuno più lo tollerava per il suo mal nutrito genio.

Dormiva a piano terra, da anni non riusciva a salire le scale, al piano di sopra, una camera da letto tutta addobbata, usata l'ultima volta, ovvero 18 anni fà, dal corpo ormai cadavere di sua moglie.
Nel pian terreno: un cucininu, un lietto stinnicchiatu è un arretrè unni cacava e pisciava. Nella parete, na bagnalora di zingu, appinnuta ad un chiodo, messa in uso solo per il bagno quindicinale; la donna che lo assisteva gli è lo faceva dopo un lungo vai e vieni di parolacce e insulti ricevuti; non è che lui non poteva da solo, però quella era la scusa per sentire le mani di una donna accarezzarle il suo corpo.

Allatu di lu liettu, una grande cassapanca molto antica, chiusa con un catenaccio, di cui solo lui possedeva la chiave, chiave che teneva legata al collo con un pezzo di spago, non lasciandola mai toccare a nessuno.
Sotto il cuscino il suo amico più fedele, uno scacciacani a tamburo, sotto l'impugnatura pendeva un anellino, dal quale agganciava una catenina, l'atro estremo lo attorcigliava al suo polso destro, prima di addormentarsi. (Minchia si era riviersu!!!!!)

Tutte le mattine, u scattu di du cuorpi di scuoppu e na ‘mmuttuni di porta lo risvegliavano di mala maniera. Era na fimminedda ca per bisogno familiare lo serviva, potendo così racimolare qualche spicciolo, per sostenere con molti sacrifici, la carriera di suo figlio che studiava all'università di Palermo.

-“Vicinzì, cuomu mai stamatina vinisti accussi tardu? Chi ti 'mpincieru li linzola nculu?”
La signora Vicinzina, neanche gli rispose, gia sapeva che per ogni risposta era l'inizio di una guerra di parole e offese. L'aiutò a scendere dal letto, lo sedette sopra una sedia, e si accinse ad accendere la stufa a gas per riscaldare un pò l'ambiente tremendamente umido e freddo.
-“Chi minchia sta fannu, è chi cridi ca li grana iu l'arruobbu?” U sa tu quantu ma fannu pagari ammia na bombola di gassi?”
Vicinzina si fici la 'ntontara è accese la stufa.
Gli preparò un pò di latte, è di seguito accese la radio per ascoltare un pò di musica da camera che tanto gli piaceva.
-“Sienti Vicinzì, na cosa ta diri, ca l'aiu avutu ccà (indicandosi la gola). Mi lu facissitu un rattieddu, veloci veloci…hi..hi..hi…?”
Vicinzina intuì, gia sapeva che quel discorso gli è lo aveva proposto più di una volta; lei era una donna onesta.
U zzi Liddu iva circannu minchi pi lanterni.
-“Adà Vicinzì, dimmilu tu chiddu ca vuò ca ti lu dugnu.” Avvicinandosi le mani ni la vraca, tirava fuori il suo membro flacido e invecchiato, lo sbandierava, cercando senza esito positivo che succedesse un miracolo, da tempo non gli funzionava, mancu a strappu.
Vicinzina, sutta sutta arridiva, poi con pazienza e molta considerazione gli preparò il pranzo, gli diede una ripulita alla stanza, gli cambio il letto è portò via con sé un pò di biancheria sporca da lavare a casa sua.
Appena Vicinzina uscì, u zzi Liddu sciugli' u gruppu di spacu, sfilò la chiave è grapi' ddu catinazzu. Guardò, toccò, controllò: tutto in ordine, era un compito che realizzava ogni giorno.

U zzi Liddu, era tintu, pero lo sapeva che ormai stava arrivando la sua fine. Nella solitudine e nel silenzio della notte, ogni tanto qualche lagrimuccia scendeva dal suo ormai rugoso e stagnatu viso. Pensava forse a quella santa donna che lo servì e accudì per tanti anni, si, la pensava e forse ancora l'amava tanto.
Nel silenzio della sua solitudine, tutte le sere tirava fuori una fotografia della sua amata Rosa, nascosta intra na jiaccazza di muro, l’accarezzava e la baciava con passione.

Stessa storia di tutti li matini: du cuorpi di scuoppu, n'ammuttuni di porta …………………………… Vicinzina attintà, non sentì le lamentele du 'zzi Liddu. Entrò, sì avvicinò al letto; u zzi Liddu muortu di cent'anni.
-“Bonarmuzza, murì”, esclamò la nobil donna, veramente si dispiacì. Qualche lagrima fugace bagnò il lenzuolo candido e odoroso di bucato, che il giorno prima aveva cambiato. Lo girò, dal collo pendeva quella misteriosa chiave, de immediato pensò chiamare aiuto, poi rifletté, capì, sempre l'aveva intuito ca u 'zzi Liddu nascondeva un secreto in quella cassapanca, con molta delicatezza e rispetto per il defunto, sciolse il nodo, prese la chiave è apri il catenaccio.

Ora Vicinzina abita a Palermo, assieme al figlio comprò un appartamento con due camere da letto, cucina, bagno e doppio servizio è un balcone con vista in Via Libertà. E’ non vi nego che mi capita spesso rivederla ben vestita e molto sorridente, sotto il braccio del figlio, ormai laureato di avvocato, seduta in un palco del teatro Massimo, assistendo ad un opera o ad un concerto classico.

Ha dimenticavo; le parole che esclamò dopo aver aperto la cassapanca furono: -“Onesta sì, ma minchiuna mai.”


...tratto dal libro: "Cosi ca putissiru succediri a Naro"

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