
Pinuzzu non potrà mai scordare a u zzi Caloieru.
Alto, baffuto, fiero e malandrinu. Non si sa per quale motivo, però infondeva fiducia e sicurità. Non era come tutti gli altri; la sua presenza sempre curata è di un ottimo buon gusto emanava protezione. Pinuzzu da piccolo lo ammirava, era il suo idolo.
-“S’ abbenadica zzi Calò”, era questo il saluto che preferiva; per lui era molto importante, era stampato all’antica è cosi preferiva rimanere.
Mai si era sposato, ma godeva di un amante, tutte le domeniche con la scusa di essere amico di famiglia, era invitato a pranzare a casa sua.
Si presentava verso l’una meno un quarto, con un mazzolino di fiori freschi e un tabarè di dolcini, rigorosamente legato con un nastrino blu, comprati nella pasticceria di sò cumpari Sariddu. Prima di pranzo si retirava in privè con la sua amante, la possedeva timidamente senza causare il minimo rumore su di un letto bianco candido, consumavano un rapporto freddo e convenzionale, lei in automatico si alzava il vestito, s’ abbassava le mutande, si cospargeva la vulva con una crema lubrificante (non secregrava fluidi, dovuto al fatto che non ovulava bene e quindi mai potte avere figli) U zzi Caloieru la penetrava con delicatezza, una ventina di entrate-uscite erano sufficienti per una veloce iaculazione e tutto finiva lì, quell’uomo con il passar degli anni l’abituò a contentarsi delle sole briciole, lei fredda come una notte di natale.
Dopo pranzato, dava sfogo alla sua eloquenza, molto incisiva e sommamente soggettiva.
Parlava del più e del meno, specialmente della situazione politica regnante a Naro, lui a suo modo di vedere le cose, aveva sempre la soluzione per tutto. Poi si sprofondava in una comoda poltrona in pelle, accendeva un Toscano Originale ammezzato, è sorseggiando un bicchierino di grappa, completava così il pomeriggio dominicale.
I suoi amici erano molti, ma quelli stretti pochissimi. Riceveva sempre molte chiamate, anche da persone importanti di Palermo, dove viaggiava spesso in compagnia della stessa persona, un giovanotto che lo seguiva da per tutto.
La sua passeggiata favorita la effettuava nel tardo pomeriggio, in compagnia di un qualche conoscente. Bastone con pomo d’argento e cappello firmato Borsalino; camminava austero, con passo lento, fermo, però implacabile. Prendevano il caffè sempre allo stesso bar, è in tutte le occasioni, senza dare mai nell’occhio, c’era sempre un ignoto qualcuno che pagava il conto.
Abitava in una suntuosissima bell’antica casa in pieno centro storico Narese, una sua sorella rimasta zitellona, era l’unica parente che gli rimaneva in vita, con lei si confidava, è con la sua compagnia decise di passare gli ultimi ormai anni della sua infervorata esistenza .
Apparentemente era di buon cuore, faceva favori a tutti non pretendendo mai nulla a cambio, anche perché, ormai aveva deciso di lasciare un buon ricordo prima della sua scomparsa.
Pinuzzu solitamente tutti i pomeriggi lo intravedeva, è dietro l’angolo lo scrutava, rendendosi conto che quell’uomo aveva qualcosa di misterioso, un non sò che di peculiare.
U zzi Caloieru in gioventù, nni fici minchiati e forsi truoppu assà, era a parere di molti “cuomu u granatu, bieddu di fora e d’intra guastatu”.
La sua fortuna, alquanto cospicua, fu racimolata in seguito a vari tranelli orchestrati a so cumpari Titu Niscemi, all’epoca deputato regionale per la DC. Fu anche implicato in nere circostanze relazionate con assunto di contrabbannu, pizzu, estorsioni e minchiate del genere, però mai le fu comprovata la sua partecipazione diretta.
Pinuzzu fin da piccolo intravedeva in lui l’idolo, l’ eroe dei suoi sogni, rivedeva il riflesso del padre che tanto gli mancava, dato che fin da bambino era restato orfano. Suo padre era stato trovato intra na robba abbannunata, cu na tradenta conficcata nel torace. Pinuzzu lo seppe gia da grande, è da grande seppe ca u zzi Caloieru, in quell’omicidio gli aveva inzuppato lo zampino.
-“Pinù ven’accà, assettati cummia, pigliati nà cosa.”
Quel pomeriggio era afosamente caloroso, u ‘zzi Caloieru si stuiava li sudura con un fazzoletto di lino bianco dove vi erano state ricamate le sue iniziali. Assaporava una granita insieme al solito amico.
Pinuzzu s’assittà. Un movimento di testa e uno sguardo trasversale obbligò all’amico ad alzarsi. Pinuzzu ordinò na garzusa.
U zzi Caloieru si tolse gli occhiali da sole, si avvicinò, gli pizzicò una guancia è scuotendogliela gli ribadì: -“Sienti Pinù, lu sacciu c’ avi na vita ca ti cuntanu minchiati, iu ormai sugnu viecchiu, tu, cuomu minchia vuò fari fà.”
L’arroganza di quell’ asseverazione non sbilanciò per niente a Pinuzzu.
Il bar era zeppo di persone, più che altro curiosi. L’aria si era intorpidita. Una brezza inusuale sussurrò nei loro volti un attimo di frescura. L’orologio di mmienzu a chiazza strimpellava sette campanate. Un silenzio sepolcrale delimitò quel tavolino.
Pinuzzu s’alzò, allontanò con decisione la sua sedia, si stringì di un pirtusu u cintu dei suoi pantaloni, si avvicinò, prese posizione; è senza proferire parola, cu na sputazzata cci lavà la facci.
Pu ‘zzi Caloieru, fù la morti prima di la morti.
...tratto dal libro:"cosi ca putissiru succediri a Naro".
Nessun commento:
Posta un commento